DELLA SATIRA ~
«Ben sogliono gli uomini schernire quello che non intendono»
J. W. Goethe, Faust
Circa un mese fa, l’Occidente
segnava con molta enfasi la sua estrema trincea dove si asserraglia, dove fissa
il suo intoccabile caposaldo, il suo tabù, quel che resta del sacro: la
buffoneria. La linea della civiltà si arrocca dunque sulle pernacchie. Chiama
libertà la licenza di sghignazzare su quasi
tutto; che cosa c’è di più nichilista e corrivo? Nel «quasi» si nasconde
l’inganno: libertà assoluta di bestemmiare la divinità, avendo perduto il timor
sacro, ma assoluta proibizione di
sfiorare i nuovi idoletti laici. Provate a celebrare per burla la mafia, o a
dire semplicemente davanti a quei criminali paesani e arcaici un «chi sono io
per giudicare?». Subito si invocherà una legge apposita che commini anni di
galera per una simile opinione o tentennamento ideologico. E sarebbe difficile travestire
quegli apprezzamenti sdruccioli come satira perché lo statuto di questa, come
tutta l’arte e la letteratura contemporanee del resto, è sfuggente, ovvero
sottomesso alle mode e alle politiche vincenti. Chi imbrattasse il patetico
Diario della sventurata Anna Frank o dietro alla elastica nozione di satira
ripetesse ogni giorno attacchi virulenti alla democrazia fino a impiccarla alle
sue contraddizioni sarebbe criminalizzato senza attenuanti. Nella gara meschina tra la blasfemia da una
parte e gli infiniti temi che ogni fantasia malata può elaborare contro il
pensiero unico dall’altra, si rasenta la idiozia compulsiva, niente a che
vedere con la libertà.
A milioni, in generosa
partecipazione mossa dal cristiano buonsenso per una strage incommensurabile
con l’impertinenza, si è fatta di un giornalino una bandiera. Che il giornalino
contenga la Trinità
raffigurata in un atto di sodomia è accettato e smuove risatine anche tra i
preti. Ah, ah, che sbellicamento. Cacchette sparse su quanto fino a ieri era
considerato più prezioso al mondo. La fase escrementizia dell’infanzia, secondo
il dott. Freud. Un americano immette sul mercato estetico molto proficuo un
Cristo immerso nella orina, scandaletto facile, seguito comunque da
elucubrazioni e tormenti, onde strappare qualche dollaro in più e uno status di
artista (atei e nichilisti sì ma sempre tanto invidiosi di quel ruolo quasi
divino). Gli occidentali non soffrono più per tali offese, sono cristiani adulti. Hanno elaborato anche una teoria
assai zoppicante sulla faccenda confusa della satira: sarebbe il caso di
ricorrere alla violenza polemica soltanto quando questa attacca i potenti e i
simboli dei potenti. Dimenticano che per ogni parte in conflitto i potenti sono
semplicemente gli avversari. Dimenticano soprattutto, quando enunciano questi
escamotages, che la vittima per eccellenza, la vittima divinizzata è Gesù
(dimenticano o nascondono il pensiero di René Girard a tal riguardo). Se la cavano
con la spiegazione che la divinità cristiana è ben al di sopra degli scherzi, che
non si lascia toccare dagli insulti e in ogni caso certi teologi contemporanei non
vogliono più saperne delle ferite al Dio incarnato, della passione di Cristo,
della sofferenza del Dio umanizzato che si rinnova al di là del tempo. Con
questi trucchi intanto, la satira prende il posto dell’arte, diventa
onnipotente, e i buffoni sono i nuovi sacerdoti, i nuovi maestri di morale, i
nuovi commentatori di Dante e nunzi a modo loro del bello, i nuovi politici, le
nuove guide. Si ascoltano filosofi celebrare la sacralità della libertà
d’espressione (in un mondo in cui non viene riconosciuto altro sacro
inviolabile), l’espressione santa essendo ormai solo quella dell’arte comica. Oggi
la satira è critica più o meno feroce in nome della demagogia, i comici pantocratori
sono maestri di populismo come nessun altro tiranno mai. L’attuale culto della satira dichiara inutile
perdersi nella riflessione, nel ragionamento, nella elaborazione filosofica,
basta uno sberleffo, una parolaccia, un insulto, una bestemmia che, come un
sorso di vino di troppo, una sniffata di cocaina, faccia venir giù il mondo. Il
pensiero che si impone al nostro tempo sempre a quell’obiettivo mira: annullare
il creato, renderlo indifendibile, infondato.
I disegnetti degli ilari
bestemmiatori, infatti, sono roba da osterie d’antan, sgorbi osceni sui muri
delle periferie, rozzi pensieri, forme ancora più rozze. Un satirico italiano, intervistato
appo i fattacci parigini, celebra l’immediatezza delle vignette del suo giro, loda
il taglio del nodo gordiano verbale, rammenta la ricerca spasmodica e mistica
di un colpo che faccia a meno di pensieri e logica, che spezzi sintassi e
concetti, che prescinda da ogni criterio, e così enumerando pare evocare
proprio quella sventagliata di mitra che taglia la testa al toro e agli umani,
che è più veloce di ogni battuta, più eloquente, più diretta di ogni schizzo
caricaturale.
Prima ancora di
discettare sull’islam però, sarebbe il caso di riflettere sulle cose sacre che
restano nel nostro mondo. Non si parli di scontro di civiltà, e neppure di
incontro, dal momento che ogni giornalista televisivo vi spiegherà con aria di
sufficienza che la civiltà è una sola. Ohibò. Civiltà unica che si specchia nel
pensiero unico. Nella religione unica, quella laica. Guai a chi provi a restare
fuori a questa unicità. Guai a chi non rida delle vignette dei martiri. A chi
non si identifichi con la loro stupidità. Si può discutere, e ridicolizzare beninteso,
il pensiero di Tommaso d’Aquino, il pensiero di Ibn Arabi, di Maimonide, si può
decostruire la cultura occidentale, si può mettere alla berlina la
Bibbia e il Corano, duemila anni di cattolicesimo con i suoi
dogmi, più di duemila anni di formalismo farisaico, ma non si può non piegarsi
a quell’atto di libertà che sarebbe lo sberleffo dei buffoni.
Civiltà unica, pensiero
unico. Rigidità impressionante. Neppure
nel medioevo imperiale, teocratico e assoluto, erano proibiti i varchi come
nell’Occidente democratico e laico. Apparvero così scandalizzati dal discorso piano
del papa teologo a Ratisbona, adesso lo
ripetono in versione commerciale. L’islam si deve laicizzare, grida il
direttore del giornale più modaiolo d’Europa. In Occidente non è più ammesso il
sacro. Che si convochino le processioni laiche come quella di Parigi che pareva
la versione postmoderna del giacobino culto dell’Essere Supremo. Le religioni
risultano ormai sanguinarie. Un vecchio semiologo che scrive romanzi di
successo propone senza remore l’abolizione delle religioni. Se i cattolici provano
vergogna come quasi tutti gli occidentali
a difendere l’aspetto sacro del cristianesimo che spendano una parola almeno
per quello dei nostri diretti concorrenti che si richiamano al Libro (sacro,
appunto), non sproloquino solo per il loro benessere fisico e per i loro salari
e diritti vari (la Chiesa
di Roma non è un sindacato).
Sempre volgarizzando al
massimo il discorso di Ratzinger si parla di illuminismo come si trattasse dell’accumulazione
del capitale che permette di accedere alla rivoluzione industriale. Resta in
ombra il fatto incontrovertibile che la critica illuminista nasce in seno alla
civiltà cristiana, alle sue distinzioni tra sacro e profano, tra clero e laici,
tra umani fatti a immagine di Dio. Ci si deve invece mettere in fila – impone
l’opinione pubblica – e acquistare anche a caro prezzo il biglietto per
diventare in breve tempo illuministi. Nel prezzo c’è la distruzione delle
singole culture, della tradizione familiare, della propria storia. Naturalmente
nelle chiacchiere giornalistiche si ignora la dialettica dell’illuminismo, la
ricostruzione a opera di Adorno e compagni della faccia totalitaria dei Lumi,
dell’annientamento di etnie, culti e culture che tentano di resistere alla sua
ideologia progressista. Nessuno osa più ricordare alla maniera dei pensatori
francofortesi che la luce abbagliante dell’illuminismo produsse le ombre
dolorose nel Lager.
La coabitazione forzata
tra popoli e culture distanti, che la globalizzazione economica impone (con
mascherature a vario titolo filantropiche), riduce l’illuminismo a un corso
rapido di desacralizzazione del mondo, di cancellazione delle immagini della
rivelazione divina a favore di un sincretismo astratto su cui già si era cimentata
la massoneria borghese. Resta l’adattamento più o meno forzato al vuoto, il
protestantesimo del tutto laicizzato cui si dovrebbero piegare anche i popoli
del nord-Africa e del medio-oriente. Perché meravigliarsi della attrattiva per
i più giovani della lotta cruenta, delle armi pesanti? La sociologia la fa
lunga con la disoccupazione nelle periferie, non sa nulla di queste ferite al
cuore ben più gravi, dello scoramento in solitudine senza il conforto del
paradiso.
Si dice candidamente medioevo
quando si parla dell’islam, come se fossero speculari i secoli del nostro
feudalesimo o dei Comuni e i secoli del Califfato arabo. Nella civiltà unica e
appiattita è infatti poco corretto sottolineare il sorriso che segnò da noi la
letteratura e l’arte, proibito poi ricordare lo spirito di tolleranza del
cristianesimo pre-illuminista per cui già allora sarebbe apparsa aberrante una strage causata da uno scherzo stupido. Abituati a battersi il petto in quanto
occidentali, a vedere il bicchiere mezzo vuoto, a scandalizzarsi proprio in
quanto occidentali e cristiani per le teste tagliate (piuttosto che trovare
motivo di vanto di essere usciti per primi dalle crudeltà religiose), si
abbandonano all’oblio tante cose. Per esempio Giovanni Boccaccio, narratore di
storie mondane, che parlava nelle chiese o anche, sulla sua scia, i Racconti
di Canterbury in cui i pellegrini criticavano preti e frati. O Dante che poteva mettere all’Inferno il papa
regnante, non impiccare soltanto il profeta Maometto con le sue budella.
2 commenti:
Il sacro esiste: non può essere distrutto come non può essere creato dalla società degli uomini. Non è in nostro potere il suo esistere, ma è demandato a noi il suo riconoscimento.
L'Occidente è in pieno regime di dissacrazione, da ben più di cent'anni. Il sacro è in latenza, come occultato. Ma non sopravviviamo noi homines religiosi con continue profanazione di questo ordine profano? Ogni preghiera, ogni atto d'adorazione, ogni supplica non testimonia la validità della promessa di Cristo di essere con noi usque ad consummationem saeculi?
Considero quest'articolo un illuminato (di luce vera) strappo nella tela che copre ciò per cui vale la pena vivere.
M. frate carmelitano
Chissà cosa ne pensavano della satira Maria Giovanni e gli altri apostoli, vedendo i soldati umiliare e sbeffeggiare Gesù. Di certo non devono essersi fatti, come certi chierici cattolici d'oggi, una gran bella risata.
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