martedì 13 aprile 2010

Caravaggesca (2)

~ GIOVAN BATTISTA MARINO CELEBRA, IN UN SONETTO INCENTRATO SUL DOPPIO, L’AMICO PITTORE ~
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Nella Galeria del poeta napoletano c’è un Caravaggio. Il ritratto in questione non è stato identificato, potrebbe trattarsi semplicemente di un omaggio simbolico e personalissimo all’artista, concerto tra poeta e pittore. Il sonetto della Galeria, dove i versi evocano i quadri, ricama sul tema del doppio: da una parte Giovan Battista in carne e ossa e Giovan Battista dipinto sulla «nobil tela», dall’altra Michele e Angelo, le due componenti del nome di battesimo che il Caravaggio condivide con il Buonarroti. Il poeta è così un Giano, perfettamente raddoppiato, anche per virtuosismo realistico del Lombardo: «veracemente». Ma il Marino innamorato vive nelle amate e perde la propria vita nella passione smisurata, per cui chiede al pittore di farlo vivere – risorgere – nel ritratto. Allora il ritrattista etichettato come realista va al di là della capacità di mettere in scena il modello, non è soltanto Angelo bensì creatore come il Creatore, che «anima» le ombre, che fa di modello e raffigurato un’unica carne, un «noi». Il poeta e la sua immagine dipinta sciolgono il canto di riconoscenza al Caravaggio. Giovan Battista Marino dunque sa andare oltre gli schemi di realismo, naturalismo, ecc.; l’artista, creator più che pittore dice in Adone proprio in riferimento al Merisi. Leon Battista Alberti – ricorda Lina Bolzoni in Poesia e ritratto nel Rinascimento – affermava esser la pittura una forza simile all’amicizia, forza divina che rende presente, vicino a noi, ciò che è lontano.

Riproduciamo il poco noto componimento poetico, tratto da
La Galeria (III, XV, 11).


Sopra il proprio Ritratto dell'Autore di mano di Michelagnolo da Caravaggio

Vidi, MICHEL, la nobil tela, in cui
da la tua man veracemente espresso
vidi un altro me stesso, anzi me stesso,
quasi Giano novel, diviso in dui.

Io, che ’n virtù d’Amor vivo in altrui,
spero or mi fia (la tua mercé) concesso,
in me non vivo, or ravivarmi in esso,
in me già morto, immortalarmi in lui.

Piacemi assai che meraviglie puoi
formar sì nòve, ANGEL non già ma Dio:
animar l’ombre, anzi di me far noi.

Che s’or scarso a lodarti è lo stil mio,
con due penne e due lingue i pregi tuoi
scriverem, canteremo, ed egli, ed io.
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(2. Continua)

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