~ L’ALTERNATIVA DELL’ARTE SACRA ~
Nella noticina dello scorso 8 agosto («Solo un ‘regnum gratiae’ ci può salvare») dicevamo dell’infimo ruolo dell’arte nell’epoca del funzionalismo capitalista. L’attività che accostava in modo particolare l’uomo a Dio, la bellezza generata non dal capriccio individuale bensì dall’imitazione della liturgia paradisiaca (si veda la Commedia di Dante), in un mondo all’insegna del mercato diventa comunicazione, orpello del processo comunicativo, enfasi pubblicitaria del mondo delle merci. Il Bauhaus lanciò il programma per l’allucinato svuotamento dell’arte, la moda piccolo borghese del design, la grafica per caratterizzare un prodotto, per sedurre un consumatore, l’esprit de géométrie senza più il conforto dell’esprit de finesse; Guy Debord ne denuncerà il gretto risultato finale. Il trionfo della macchina richiede che tutto, anche la casa e l’anima umana, sia riconducibile alla sua disciplina, onde sfruttare l’energia meccanica che è il suo unico scopo su questa terra. Perciò, si sottolineava in quello scrittarello, l’arte della nostra epoca è condannata a essere brutta (e c’è qualcuno tanto autolesionista da compiacersene). Ma perché, ci domandiamo oggi, anche l’arte sacra, cattolica – da cui nacquero i massimi capolavori nella storia dell’Occidente, dal Medioevo in poi – si deve piegare a una simile condanna? Perché, per esempio, le decorazioni, il logo, l’altare di Madrid dove le folle dei giovani hanno pregato con il papa devono obbedire alla maledizione dell’universo mercificato? Anzi, perché un logo per tale raduno, non bastava la croce, si doveva forse vendere qualcosa? Si doveva comunicare col tono sintetico e nevrotico della réclame? Eppure la buona notizia cristiana non appartiene al linguaggio delle news, è una faccenda che attraversa i secoli, che parla solenne, che annuncia nientedimeno che la sconfitta della morte, non si tratta di un consiglio etico, di un invito new age, di un brand spirituale da lanciare. Non è uno spettacolo, anche se i più devoti cronisti della televisione dei vescovi parlavano l’altro giorno di palco invece che di altare, ara del sacrificio. Certi preti si assoggettano ai peggiori dettami del marketing considerandosi i pr di Cristo, ma il Messia non si vende, è un dono. L’arte sacra dunque non può essere il riflesso di quanto accade nel mondo, soprattutto quando questo ha tagliato le radici con la tradizione e vive angosciosamente solo le oscillazioni economiche, le contorsioni demoniache dei soldi. Meglio sarebbe se si presentasse come l’unica alternativa a quel ‘contemporaneo’ asservito al denaro, e parlasse di un altro tempo: l’eterno.
Nella noticina dello scorso 8 agosto («Solo un ‘regnum gratiae’ ci può salvare») dicevamo dell’infimo ruolo dell’arte nell’epoca del funzionalismo capitalista. L’attività che accostava in modo particolare l’uomo a Dio, la bellezza generata non dal capriccio individuale bensì dall’imitazione della liturgia paradisiaca (si veda la Commedia di Dante), in un mondo all’insegna del mercato diventa comunicazione, orpello del processo comunicativo, enfasi pubblicitaria del mondo delle merci. Il Bauhaus lanciò il programma per l’allucinato svuotamento dell’arte, la moda piccolo borghese del design, la grafica per caratterizzare un prodotto, per sedurre un consumatore, l’esprit de géométrie senza più il conforto dell’esprit de finesse; Guy Debord ne denuncerà il gretto risultato finale. Il trionfo della macchina richiede che tutto, anche la casa e l’anima umana, sia riconducibile alla sua disciplina, onde sfruttare l’energia meccanica che è il suo unico scopo su questa terra. Perciò, si sottolineava in quello scrittarello, l’arte della nostra epoca è condannata a essere brutta (e c’è qualcuno tanto autolesionista da compiacersene). Ma perché, ci domandiamo oggi, anche l’arte sacra, cattolica – da cui nacquero i massimi capolavori nella storia dell’Occidente, dal Medioevo in poi – si deve piegare a una simile condanna? Perché, per esempio, le decorazioni, il logo, l’altare di Madrid dove le folle dei giovani hanno pregato con il papa devono obbedire alla maledizione dell’universo mercificato? Anzi, perché un logo per tale raduno, non bastava la croce, si doveva forse vendere qualcosa? Si doveva comunicare col tono sintetico e nevrotico della réclame? Eppure la buona notizia cristiana non appartiene al linguaggio delle news, è una faccenda che attraversa i secoli, che parla solenne, che annuncia nientedimeno che la sconfitta della morte, non si tratta di un consiglio etico, di un invito new age, di un brand spirituale da lanciare. Non è uno spettacolo, anche se i più devoti cronisti della televisione dei vescovi parlavano l’altro giorno di palco invece che di altare, ara del sacrificio. Certi preti si assoggettano ai peggiori dettami del marketing considerandosi i pr di Cristo, ma il Messia non si vende, è un dono. L’arte sacra dunque non può essere il riflesso di quanto accade nel mondo, soprattutto quando questo ha tagliato le radici con la tradizione e vive angosciosamente solo le oscillazioni economiche, le contorsioni demoniache dei soldi. Meglio sarebbe se si presentasse come l’unica alternativa a quel ‘contemporaneo’ asservito al denaro, e parlasse di un altro tempo: l’eterno.
2 commenti:
Inseguimento giovani. E brivido dei grandi numeri. Pur con tutta la buona volontà di alcuni, non so quanti, che ancora preferiscano l'azione della Grazia alle strategie da attrazione turistica, le GMG si raggomitolano su quelle due istanze. Eredità di un evento generato da un pontefice che agli occhi di troppi valse piuttosto per il carisma da attore che non per il magistero da seguire? E ancora, questa fiducia nei mezzi umani, foss'anche plausibile e benedetta, ha ed avrà in sé forze e criteri per arrestarsi - fortes fide - prima di rimanere prigioniera del baratro della mera logica da stadio? Staremo a vedere...
Si può essere irritati dai raduni giovanili, dai rockettari papalini, dal tono epico per narrare i guai che capitano ai campeggiatori estivi,ma il pontefice che la Provvidenza fornì di un carisma d'attore fu straordinario nell'agone della modernità. Basti pensare come era ridotta la Chiesa di Roma quando quell'atleta polacco si affacciò al balcone di San Pietro nell'ottobre del 1978. E a come riuscì a rincuorare i cattolici con la sua forza. Perciò eterna gratitudine al beato Karol Magno.
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