~ BANALITÀ PREMIATE CON IL NOBEL
AL COSPETTO DELLA MORTE ~
Càpita di passare un giorno in ospedale a distrarre degli amici con qualche chiacchiera e, aggirandosi per quei giganteschi castelli del patire e della paura, provare ancora una volta la sensazione del limite, l’esperienza della dipendenza fisica, la nostalgia della vita piena. Intorno, la bruttezza dei corpi, che è un mistero doloroso lancinante. Sul calar della sera, in quel luogo sinistro dove si incrociano macchine fantasiose e sangue, tecnologia e rantoli, chimica dei farmaci e batticuore, si è raggiunti da una telefonata che annuncia la morte di un parente in un altro ospedale della città, ecco la tristezza che non si accontenta di consolazioni mediocri. Si legge allora su una copia abbandonata del «manifesto», quotidiano del materialismo senza drammi, una frase in neretto: «La morte? La morte non è nulla. Prima si esisteva e poi si smette di esistere, è tutto qui...». Tutto qui? Almeno il libertino sapeva che quello che conta su questa terra riguarda un simile, sostanzioso, passaggio: prima e poi, il godimento del mondo e le tenebre senza fine. Se il buio eterno vi sembra poco, recitate pure la parte degli epicurei moderni, ma «crepa!» sarà allora un grido augurale, come una «buonanotte». Farete pure la figura degli eroi ma viene il sospetto che forse lo spettacolo del creato non vi abbia mai commosso sul serio. Quello che ai primi filosofi dell’Occidente serviva come protezione da pensieri troppo tormentosi, adesso che da duemila anni è scoppiato lo scandalo cristiano di fronte alla morte, ed è squillato il buon annuncio della vita eterna, appare come un giochino verbale irritante rispetto al grave tema, un estremo arcaismo per dispetto, non più ingenuo, soltanto sciocco. Così la macroscopica stoltezza di tanti recenti premi Nobel della letteratura non si smentisce: anche il portoghese che lo vinse nel 1998 può pronunciare impunemente in un’intervista pubblicata postuma questa frase che ferisce le sofferenze più intime degli umani. E i giornali devoti dell’ovvietà la riportano come un evangelo nello stesso numero in cui trafficano con l’etica dei vescovi riguardo ai peccatori al governo: non sanno che le peggiori nequizie del mondo sono appena un riflesso dell’apparente trionfo della morte. «Tutto qui» riassume il laicismo tracotante, lo sberleffo dell’insolente di fronte a chi giace, la battuta per farsi bello con l’epicureismo da bar.
AL COSPETTO DELLA MORTE ~
Càpita di passare un giorno in ospedale a distrarre degli amici con qualche chiacchiera e, aggirandosi per quei giganteschi castelli del patire e della paura, provare ancora una volta la sensazione del limite, l’esperienza della dipendenza fisica, la nostalgia della vita piena. Intorno, la bruttezza dei corpi, che è un mistero doloroso lancinante. Sul calar della sera, in quel luogo sinistro dove si incrociano macchine fantasiose e sangue, tecnologia e rantoli, chimica dei farmaci e batticuore, si è raggiunti da una telefonata che annuncia la morte di un parente in un altro ospedale della città, ecco la tristezza che non si accontenta di consolazioni mediocri. Si legge allora su una copia abbandonata del «manifesto», quotidiano del materialismo senza drammi, una frase in neretto: «La morte? La morte non è nulla. Prima si esisteva e poi si smette di esistere, è tutto qui...». Tutto qui? Almeno il libertino sapeva che quello che conta su questa terra riguarda un simile, sostanzioso, passaggio: prima e poi, il godimento del mondo e le tenebre senza fine. Se il buio eterno vi sembra poco, recitate pure la parte degli epicurei moderni, ma «crepa!» sarà allora un grido augurale, come una «buonanotte». Farete pure la figura degli eroi ma viene il sospetto che forse lo spettacolo del creato non vi abbia mai commosso sul serio. Quello che ai primi filosofi dell’Occidente serviva come protezione da pensieri troppo tormentosi, adesso che da duemila anni è scoppiato lo scandalo cristiano di fronte alla morte, ed è squillato il buon annuncio della vita eterna, appare come un giochino verbale irritante rispetto al grave tema, un estremo arcaismo per dispetto, non più ingenuo, soltanto sciocco. Così la macroscopica stoltezza di tanti recenti premi Nobel della letteratura non si smentisce: anche il portoghese che lo vinse nel 1998 può pronunciare impunemente in un’intervista pubblicata postuma questa frase che ferisce le sofferenze più intime degli umani. E i giornali devoti dell’ovvietà la riportano come un evangelo nello stesso numero in cui trafficano con l’etica dei vescovi riguardo ai peccatori al governo: non sanno che le peggiori nequizie del mondo sono appena un riflesso dell’apparente trionfo della morte. «Tutto qui» riassume il laicismo tracotante, lo sberleffo dell’insolente di fronte a chi giace, la battuta per farsi bello con l’epicureismo da bar.
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